La guerra civile in Sudan, iniziata nell’aprile 2023, continua a gettare la sua ombra cupa sui popoli del Paese. Le dinamiche del conflitto rivelano una profonda competizione tra l’agenda del movimento islamista, che vede nella prosecuzione della guerra un’opportunità per ristabilire il proprio dominio, e le forze civili che si raccolgono intorno a una nuova visione, espressa nel “Patto fondativo del Sudan”. Quest’ultimo riflette un’aspirazione a porre fine alla guerra e a costruire uno Stato laico e democratico. Tuttavia, le sfide di questo percorso rimangono enormi, tra l’aggravarsi della crisi umanitaria e l’ostinazione dell’esercito e dei suoi alleati islamisti.
Il movimento islamista: continuare la guerra come strumento di egemonia
Secondo gli analisti, il movimento islamista – che fin dal colpo di Stato del 1989 è stato la spina dorsale del regime militare – considera la prosecuzione della guerra come un’opportunità per riaffermare il proprio controllo sul Sudan. Come riportato in un rapporto dell’“International Crisis Group” del febbraio 2025, “l’esercito, sostenuto dagli islamisti, utilizza la guerra per impedire qualsiasi transizione democratica, traendo vantaggio dal caos per rafforzare la propria presa sul potere”. Questa strategia si manifesta anche nel rifiuto dell’esercito di sostenere le iniziative di pace, come i colloqui di Gedda del 2023 o la Conferenza di Ginevra dell’anno scorso, dove l’esercito non ha inviato i propri rappresentanti, mentre l’altra parte era presente.
Nonostante questa agenda, il movimento islamista si trova però ad affrontare crescenti difficoltà. L’erosione del sostegno popolare, dovuta all’eredità di repressione e corruzione accumulata in decenni di potere, ha indebolito la sua capacità di raccogliere consenso. Un articolo pubblicato da “Foreign Affairs” nel gennaio 2025 ha rilevato che “il movimento islamista, un tempo in controllo di tutti gli snodi dello Stato, oggi deve fronteggiare una resistenza senza precedenti da parte di forze civili unite, il che limita la sua ambizione di ritornare al potere”.
“Patto fondativo del Sudan”: una visione di unità e laicità
Nel pieno del conflitto è emerso il “Patto fondativo del Sudan” come documento centrale, firmato dalle forze civili riunite nella coalizione “Tassīs” (Fondazione) nel dicembre 2024. Esso delinea una visione per costruire uno Stato laico e democratico. Secondo il testo ufficiale, il Patto afferma “l’unità del destino comune dei popoli del Sudan e la sovranità dello Stato sui propri territori e risorse, consolidando i principi di libertà, giustizia e uguaglianza”. Al contempo dichiara esplicitamente la volontà di “sradicare povertà, fame, malattia, ignoranza, discriminazione ed emarginazione”, sancendo la laicità come principio fondante dello Stato.
In una dichiarazione rilasciata da Gibreel Ibrahim, Presidente del Movimento Giustizia e Uguaglianza (che fa parte della coalizione “Tassīs”), nel gennaio 2025, si legge: “La richiesta fondamentale oggi per la maggior parte dei sudanesi è fermare la guerra, affrontandone le cause profonde, perché la sua prosecuzione porterà alla disgregazione del Paese e al collasso dello Stato”. Questa presa di posizione riflette una consapevolezza profonda dei rischi in atto, in linea con quanto sancito dal Patto, che ribadisce l’idea di “unità volontaria” e il diritto dei popoli del Sudan all’autodeterminazione qualora la laicità non dovesse radicarsi come principio costituzionale.
Il Patto sottolinea anche la necessità di una struttura decentralizzata e del riconoscimento della diversità, rifiutando ogni adesione esclusiva a un’identità etnica, religiosa o regionale. Ciò rappresenta una risposta diretta all’eredità del movimento islamista, che mirava a imporre un’identità unica. Un rapporto del “Centro Africano di Studi Strategici”, pubblicato nel marzo 2025, ha definito il Patto “un passo storico verso la ridefinizione del Sudan come Stato inclusivo, il cui successo dipende però dalla fine della guerra”.
Un passo coraggioso verso la laicità e il sostegno delle Forze di Supporto Rapido
Questo Patto rappresenta un passo coraggioso e senza precedenti nella storia contemporanea del Sudan, trovando l’appoggio del comandante delle Forze di Supporto Rapido (RSF), Mohamed Hamdan Dagalo (Hemetti), che in un discorso ufficiale nel febbraio 2025 ha dichiarato: “Siamo al fianco delle forze civili per costruire un Sudan laico che rispetti tutti”. Si tratta di un’affermazione eccezionale in un Paese in cui, per decenni, il movimento islamista radicale ha imposto una visione religiosa unilaterale, causando emarginazione e conflitti etnici. Questa posizione restituisce speranza alle diverse comunità del Sudan e merita un solido sostegno da parte delle potenze internazionali, in particolare dell’Europa, che riconosce l’interesse strategico di un Sudan (e un Medio Oriente) stabili.
Un rapporto del “Consiglio Europeo per le Relazioni Estere” del marzo 2025 ha confermato che “uno Stato laico in Sudan costituirebbe un baluardo contro i pericoli dell’estremismo e favorirebbe la sicurezza regionale e gli interessi europei, contribuendo a frenare i flussi migratori irregolari e a combattere il terrorismo”.
Un barlume di speranza: governo civile e ruolo delle RSF
In mezzo a questa complessa realtà, si profila un barlume di speranza: la possibilità di istituire un governo civile che riconcili le varie componenti del popolo sudanese, ponendo fine alla guerra e alle mire del movimento islamista di riprendere il potere. Attualmente, questo percorso vede un’alleanza atipica tra forze civili e Forze di Supporto Rapido. In un video-messaggio del febbraio 2025, il comandante delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo (Hemetti), ha ribadito che “il nostro obiettivo è un Sudan laico e democratico, in partenariato con le forze civili”. Questa dichiarazione è stata accolta favorevolmente dalla coalizione “Taqaddum” (Progresso), che in una nota del marzo 2025 ha sottolineato come “le RSF possano far parte della soluzione se si impegnano a fermare la guerra e a sostenere la transizione civile”.
Nonostante il controverso passato delle RSF, il loro ruolo nel facilitare gli aiuti umanitari – documentato dalle Nazioni Unite nel gennaio 2025 – rafforza la loro posizione di potenziale partner per le forze civili, a differenza dell’esercito che continua a ostacolare i soccorsi. Un rapporto di “Foreign Policy” del marzo 2025 rileva che “questa alleanza potrebbe costituire il nucleo di un nuovo sistema di governo, ma necessita di garanzie internazionali per prevenire eventuali abusi”.
La crisi umanitaria: una tragedia che minaccia l’esistenza stessa del Paese
La crisi umanitaria in Sudan sta raggiungendo livelli catastrofici. Secondo un rapporto pubblicato dall’“Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari” (OCHA) nel marzo 2025, oltre 14 milioni di persone sono state sfollate o costrette a lasciare il Paese, mentre 26 milioni – la metà della popolazione – sono colpiti da grave insicurezza alimentare.
“Medici Senza Frontiere” ha documentato, nel febbraio 2025, un aumento senza precedenti del tasso di malnutrizione infantile nei campi per sfollati, con decine di bambini che muoiono ogni giorno a causa di fame e malattie. Negli ultimi giorni, inoltre, le violazioni si sono intensificate con i bombardamenti indiscriminati effettuati dall’esercito contro i quartieri residenziali di Khartoum, del Darfur e di El Fasher, come indicato nel rapporto di “Human Rights Watch” del febbraio 2025, che riferisce di centinaia di morti e gravi danni alle infrastrutture.
Conclusione
Oggi il Sudan si trova di fronte a una sfida esistenziale: da un lato, la leadership dell’esercito insiste a proseguire la guerra malgrado la crisi umanitaria e la carestia che colpiscono molte regioni del Paese; dall’altro, le forze civili si stanno unendo attorno al “Patto fondativo del Sudan”, che propone una visione promettente per uno Stato laico e democratico. Eppure la prosecuzione del conflitto minaccia di lacerare il tessuto sociale e condurre il Paese al collasso. La soluzione risiede nel sostegno della comunità internazionale a un percorso civile capace di porre fine al conflitto. Come dichiarato dal Dipartimento di Stato statunitense nel marzo 2025, è necessario “un’immediata cessazione delle ostilità e un sostegno a un processo di transizione democratica inclusiva”. Il successo di questo percorso potrebbe essere l’unica via per salvare il Sudan dalla sua tragedia umanitaria e vanificare i tentativi degli estremisti islamisti di estendere il proprio dominio su un altro Paese del Medio Oriente, come avvenuto in Afghanistan e, più di recente, in Siria..