TRENTO – Si è concluso nel tardo pomeriggio di oggi il processo d’Appello relativo all’inchiesta «Perfido», che ha portato alla conferma delle condanne di primo grado per gli otto imputati. Le pene stabilite in precedenza sono state mantenute, con un lieve sconto concesso solo a Giuseppe Battaglia e alla moglie Giovanna Casagranda.
La convalida dell’accusa di associazione mafiosa
Il processo d’Appello ha avuto l’obiettivo di riesaminare le condanne emesse nel luglio 2023, contestando le accuse della Procura, che ha individuato una presunta locale di ‘ndrangheta in Trentino, operante nel settore del porfido e coinvolta in accordi di natura politica ed elettorale.
La Corte d’Appello ha confermato l’accusa di associazione mafiosa, ritenendo provata l’esistenza del gruppo criminale. Tuttavia, ha concesso una lieve riduzione di pena per i reati commessi prima del 4 novembre 2016, relativi soprattutto a sfruttamento lavorativo.
76 anni di reclusione confermati in appello
Il processo di primo grado, concluso nel luglio 2023, aveva portato a condanne per un totale di 76 anni di carcere, ora confermati dalla sentenza di Appello. Gli imputati avevano scelto il rito abbreviato, ottenendo così la riduzione di un terzo della pena prevista dal codice di procedura penale.
Chi sono i condannati
Tra i condannati spiccano nomi di rilievo nel settore economico e politico locale:
- Giuseppe Battaglia, imprenditore del porfido ed ex assessore, ritenuto ai vertici dell’organizzazione, condannato a 12 anni di reclusione.
- Giovanna Casagranda, moglie di Battaglia, condannata per concorso esterno in associazione mafiosa.
- Pietro Battaglia, fratello di Giuseppe ed ex consigliere comunale di Lona-Lases.
- Mario Giuseppe Nania, condannato a 11 anni e 8 mesi, considerato il braccio armato del gruppo e accusato di intimidazioni nei confronti di imprenditori e lavoratori.
- Demetrio Costantino, ritenuto dagli inquirenti un membro di spicco della locale.
- Antonino Quattrone, Domenico Ambrogio e il commercialista Federico Cipolloni, anch’essi coinvolti nell’organizzazione.
L’inchiesta «Perfido» e il controllo sul porfido
L’operazione «Perfido» ha portato alla luce un sistema criminale radicato nel settore dell’estrazione del porfido, che avrebbe garantito alla presunta ‘ndrangheta ingenti profitti e capacità di condizionamento su imprenditori e amministratori locali.
Le indagini hanno svelato metodi intimidatori, gestione illecita degli appalti e collegamenti con esponenti del mondo politico e istituzionale. Secondo gli inquirenti, il gruppo aveva imposto un regime di paura e controllo nella zona, influenzando anche le scelte amministrative e aziendali.