“Il Nordest è la parte del Paese in cui si consuma più bio, e in Friuli Venezia Giulia durante la pandemia è aumentata in modo esponenziale la richiesta di biologico sia nei negozi specializzati sia nei supermercati. Quindi siamo tra le regioni a più alto consumo di biologico, mentre come produzione siamo tra le più basse, ovvero al 4% contro una media nazionale del 15%”.
E’ il divario tra domanda e offerta spiegato alla ‘Dire’ dalla presidente dell’Associazione italiana agricoltori biologici (Aiab) del Friuli Venezia Giulia, Cristina Micheloni, intervenuta oggi alla Tavolo per la terza ripartenza dedicato alla Sessione europea 2022. Divario che andrebbe colmato proprio ora, sostiene Micheloni, quando la produzione agroalimentare maggiormente energivora -mais e zootecnia- è messa in crisi dal costo dell’energia.
“Chi in regione vuole mangiare bio, e di solito si tratta di persone attente all’ambiente, al chilometro zero, ad avere un legame con chi produce- continua la presidente- ora deve comprare roba che arriva dall’Emilia Romagna e dal Veneto”.
Per rilanciare la produzione secondo l’Aiab, ma per competere con l’agroalimentare intensivo ora in crisi, bisogna diversificare e cambiare stile di consumo. Nella produzione il bio parte già con minori costi, sostiene Micheloni: “Quando si usa l’urea e il nitrato ammonico per concimare i campi nella produzione convenzionale, si compra un prodotto del petrolio, e lo stesso è per il gasolio che mettiamo nel trattore. Per mantenere la quantità, invece, si possono sostituire al mai colture come il frumento. Ma soprattutto, a parità di peso il biologico ha più nutrienti, mentre il prodotto industriale ha più acqua nei prodotto”.
Una delle ricette per riuscire a transitare verso una agricoltura biologica di massa, spiega la presidente citando uno studio su Nature, prevede di dimezzare lo spreco alimentare, ora al 30%, e dimezzare l’attuale consumo di carne, uova e latte. Ciò permetterebbe di ridurre drasticamente la produzione agricola industriale destinata alla zootecnia, e tagliare ulteriormente i bisogni energetici del settore, visto che proprio la zootecnia alimentata a mais e soia, è la parte più costosa sia economicamente sia dal punto di vista ambientale.
Un altro costo che si può abbattere pere rendere il biologico più competitivo sono quelli della filiera. “Più è grande, meno incide percentualmente sul prezzo, e più è efficiente il sistema- sottolinea Micheloni-. Ma lo stesso vale se accorciamo la filiera comprando, quando possibile, direttamente dal contadino, che però deve avere la certificazione bio- precisa-. La certificazione europea ha costi minimi, circa 500 euro all’anno, al massimo viene un po’ vissuta come un fastidio dal produttore, che deve segnare sul registro tutto quello che fa”, conclude la presidente.