Un tunnel oscuro che si fa sempre più tetro giorno dopo giorno in Sudan, a seguito della guerra in corso tra l’esercito e le forze del supporto rapido, a partire da metà aprile 2023, durante la quale sono state uccise centinaia di migliaia di persone e milioni sono stati sfollati, secondo rapporti delle Nazioni Unite.
Con l’avanzata dell’esercito nella capitale Khartoum negli ultimi tempi, le Nazioni Unite hanno fatto scattare un’inchiesta sui “crimini di guerra” commessi recentemente dall’esercito sudanese e dalle forze ad esso alleate.
A questo proposito, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Turk, ha espresso il suo sgomento per i rapporti affidabili che indicano numerosi episodi di esecuzioni sommarie di civili in diverse zone di Khartoum, sospettati – a quanto pare – di aver collaborato con le forze del supporto rapido.
Ha osservato inoltre che l’Alto Commissariato per i Diritti Umani ha esaminato numerosi video raccapriccianti pubblicati sui social media dal 26 marzo, e che tutti sembrano essere stati girati nel sud ed est di Khartoum.
Questi video, secondo il comunicato, mostrano uomini armati – alcuni in uniforme militare e altri in abiti civili – che eseguono esecuzioni a sangue freddo di civili, spesso in luoghi pubblici. In alcuni video, i perpetratori hanno dichiarato di punire i sostenitori delle forze del supporto rapido.
Denuncia o evasione?
In mezzo a richieste internazionali di indagare sulle esecuzioni compiute dall’esercito sudanese e dalle milizie estremiste a esso alleate, e in un’azione descritta come un tentativo di distogliere l’attenzione, le autorità governative (l’esercito) sudanese hanno presentato una denuncia contro gli Emirati Arabi Uniti, lo Stato del Golfo che è tra i maggiori fornitori di assistenza umanitaria per il popolo sudanese.
Sostenendo che gli Emirati violano la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio offrendo supporto a parti in conflitto, hanno richiesto ai giudici di emanare ordini cautelari urgenti.
Questa denuncia è stata considerata da osservatori in Sudan come un tentativo di coprire i crimini commessi dall’esercito durante la guerra.
L’ex ministro della Giustizia sudanese, Nasr al-Din Abdul Bari, ha affermato che la denuncia è una mossa ipocrita da parte di un’istituzione che si suppone vanta una lunga storia nella commissione di genocidi.
Ha inoltre confermato che, nonostante la questione porti con sé alcuni aspetti legali nuovi, essa è, in fin dei conti, mossa da motivazioni puramente politiche e priva di credibilità morale, alla luce del lungo passato delle forze armate sudanesi nel commettere atrocità di guerra.
Ha sottolineato che l’esercito, attraverso questa denuncia, intende presentarsi come un difensore dei diritti umani, distogliendo l’attenzione dalle violazioni e dall’insistenza della guerra, in netto contrasto con la propria storia.
Nel frattempo, Reem Katit, vice assistente del Ministro degli Affari Politici presso il Ministero degli Esteri degli Emirati e rappresentante degli Emirati, ha affermato oggi davanti alla Corte Internazionale di Giustizia che non vi è alcuna verità nelle accuse secondo cui gli Emirati alimenterebbero il conflitto in Sudan. Ha aggiunto che, fin dall’inizio della guerra, gli Emirati non hanno fornito armi a nessuna delle parti in conflitto, ribadendo come le accuse mosse contro di loro siano infondate.
Ha dichiarato inoltre che Abu Dhabi ha sostenuto vari tentativi di mediazione affinché le parti in conflitto in Sudan si facciano carico delle proprie responsabilità secondo il diritto internazionale, mantenendo la posizione degli Emirati secondo cui la Corte non sarebbe competente, pur nel rispetto del diritto internazionale.
Con il persistere delle carestie in Sudan, la funzionario degli Emirati, davanti alla Corte Internazionale, ha sottolineato l’urgenza di porre fine agli ostacoli che impediscono il libero accesso agli aiuti umanitari e di fermare le violazioni in Sudan, per terminare la sofferenza di oltre 32 milioni di persone.
Armi chimiche e barili
Questa denuncia è emersa dopo che le Nazioni Unite, Human Rights Watch e l’Osservatorio sudanese per i Diritti Umani hanno confermato che l’esercito ha commesso crimini di guerra durante il suo conflitto con le forze del supporto rapido.
Le violazioni dell’esercito hanno incluso l’uso di armi chimiche, secondo un rapporto pubblicato a metà gennaio scorso da una giornalista del New York Times.
La giornalista ha riferito, citando quattro fonti statunitensi, che l’esercito sudanese ha impiegato armi chimiche almeno due volte contro le forze del supporto rapido.
L’esercito sudanese ha usato armi chimiche in aree remote del Sudan, contro elementi delle “forze del supporto rapido”, mentre i funzionari statunitensi temono il loro impiego in zone densamente popolate della capitale Khartoum.
La rivelazione dell’uso di armi chimiche giunge dopo che le forze dell’esercito sono state accusate di aver perpetrato atrocità che includono il bombardamento indiscriminato di civili e l’uso della carestia come arma.
Ha aggiunto che la conoscenza del programma di armi chimiche sudanese è limitata a un ristretto gruppo all’interno dell’esercito e che al generale al-Burhan è stata data l’autorizzazione ad impiegare tali armi contro le forze del supporto rapido.
Nel corso dell’ultimo anno, l’organizzazione “Avvocati della Rivoluzione” ha condannato il bombardamento aereo militare – effettuato dall’aviazione dell’esercito sudanese – della zona di Hamra Al-Sheikh, nello Stato del Nord del Kordofan, mediante barili esplosivi, per la decima volta in 8 mesi.
In un comunicato, l’organizzazione ha riferito che l’attacco ha provocato vittime, definendolo un “atto disumano” per l’assenza di obiettivi militari, sottolineando che l’area bersaglio era “priva di qualsiasi attività o presenza militare”. Di conseguenza, tale attacco configura un “crimine di guerra in ogni sua parte”.
In un rapporto precedente, l’organizzazione aveva evidenziato come numerose violazioni si fossero verificate nella zona di Hamra Al-Sheikh, nella parte occidentale del paese, a causa dell’esposizione a barili esplosivi durante raid aerei effettuati dall’aviazione militare. È stato segnalato che in 7 raid effettuati nella zona sono stati fatti cadere da 8 a 10 barili per ogni attacco, colpendo quartieri residenziali, mercati, pascoli e risorse idriche e provocando vittime e feriti tra la popolazione civile.
Ha confermato inoltre che i raid sulla zona di Hamra Al-Sheikh hanno causato lo spostamento massiccio dei residenti verso i villaggi limitrofi, tra cui quelli di Suwani, al-Furda e Umm Sunt.
Sanzionato a livello internazionale
Nel contesto dei rapporti che hanno rivelato l’uso di armi chimiche, gli Stati Uniti d’America hanno annunciato a gennaio l’imposizione di sanzioni contro il comandante dell’esercito sudanese, il generale Abdel Fattah al-Burhan, la cui forza è stata accusata di aver condotto attacchi contro i civili.
Il Dipartimento di Stato americano, in un comunicato, ha affermato che “i membri delle forze armate sudanesi hanno commesso crimini di guerra e, da allora, le truppe sotto la guida di al-Burhan hanno continuato a compiere atrocità, tra cui attacchi contro civili, infrastrutture civili ed esecuzioni sommarie di civili”, evidenziando la violazione del “diritto umanitario internazionale e il disprezzo degli impegni assunti nell’‘Annuncio di Jeddah 2023 per l’impegno a proteggere i civili in Sudan’”.
Ha proseguito affermando che “l’uso da parte delle forze armate sudanesi della privazione del cibo come tattica di guerra, unitamente alla deliberata ostruzione al libero flusso degli aiuti umanitari d’emergenza destinati a milioni di sudanesi disperati, ha contribuito alla più grande crisi umanitaria del mondo, lasciando oltre 25 milioni di sudanesi a fronteggiare una grave insicurezza alimentare e oltre 600.000 a soffrire la fame.”
Il comunicato ha inoltre aggiunto che al-Burhan ha ostacolato “il progresso verso la pace, inclusi il rifiuto di partecipare ai colloqui internazionali per un cessate il fuoco in Svizzera nell’agosto 2024, e ripetutamente ha impedito la transizione politica verso un governo civile.”