Netanyahu firma l’accordo con Hamas per la tregua e il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza
Nella notte, l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la firma dell’accordo con Hamas per una tregua e il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza. Questo accordo, annunciato dai mediatori di Qatar, Stati Uniti ed Egitto, prevede una pausa nei combattimenti nella Striscia e il rilascio graduale degli ostaggi – 33 nella prima fase – e di centinaia di prigionieri palestinesi a partire da domenica.
Governo Netanyahu in bilico
Netanyahu ha ordinato al gabinetto di sicurezza israeliano di riunirsi nella giornata di oggi per approvare l’accordo sul cessate il fuoco, seguito dal voto del governo. Le famiglie degli ostaggi sono state informate dei progressi mentre si stanno preparando per accogliere il ritorno dei rapiti. Il premier israeliano aveva ritardato il voto del governo previsto per ieri, accusando Hamas di cercare modifiche dell’ultimo minuto.
La crisi politica che Netanyahu sta affrontando in vista del voto è molto grave, con alcune reazioni negative da parte di membri della coalizione. Due partiti di estrema destra hanno minacciato di lasciare il governo se l’accordo dovesse andare in porto, una mossa che potrebbe portare alla perdita della maggioranza del primo ministro in Parlamento.
Le tensioni nel governo israeliano sono principalmente legate a Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit e ministro della sicurezza nazionale. Ben Gvir ha dichiarato che presenterà le dimissioni e non farà più parte del governo se l’accordo sarà approvato e attuato, affermando che ciò vanificherà i risultati garantiti allo Stato di Israele.
La pressione Usa
Netanyahu è sotto pressione internazionale da tempo per porre fine alla guerra a Gaza. L’imminente ritorno al potere del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha aumentato l’urgenza per il premier di concludere l’accordo. La firma dell’accordo con Hamas è quindi un passo cruciale per Netanyahu, che si trova ad affrontare non solo una crisi politica interna, ma anche le pressioni esterne per porre fine al conflitto.