Non bastasse il brutto colpo di doversi togliere l’utero poco più che quarantenne, quell’intervento le ha sconvolto l’esistenza anche a causa di un errore medico. Oggi, a distanza di più di otto anni, però, una cinquantunenne di Jesolo, assistita da Studio3A, ha vinto la sua battaglia: il tribunale di Venezia ha condannato l’Asl 4 del Veneto Orientale, che l’ha pure costretta a intentare una causa,a risarcirla con oltre 120mila euro e a rifonderle anche tutte le spese legali, altri 14mila euro.
A fine 2011, a causa di un grosso fibroma, i medici della Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di San Donà di Piave consigliano alla signora, che all’epoca ha 42 anni, l’asportazione dell’utero: intervento di laparoisterectomia totale effettuatonello stesso repartoil 22 gennaio 2012. Al risveglio, però, la paziente non sente più la gamba sinistra, per giorni non riesce neanche a camminare, e non è una sensazione passeggera dovuta all’anestesia. Gli accertamenti neurologici rivelano che il problema è legato a una seria lesione del nervo femorale sinistro, subita evidentemente durante l’operazione, e, nonostante ripetuti cicli di fisioterapia e sedute di agopuntura, non recupera più la piena funzionalità dell’arto. Il danno ormai è irreversibile.
La donna, per essere risarcita e ottenere giustizia, attraverso l’area manager e responsabile della sede di San Donà, Riccardo Vizzi, si rivolge a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. Studio3A sottopone il caso ai propri esperti medici legali, che ravvisano senza dubbio profili di responsabilità professionale medica in capo ai sanitari che hanno curato la propria assistita, e chiede i danni all’azienda sanitaria a cui fa capo l’ospedale sandonatese, l’Asl 4, che però respinge ogni richiesta di risarcimento non aderendo nemmeno alla procedura di mediazione. Nel 2015 viene così presentata istanza al Tribunale civile di Venezia, che la accoglie, di un accertamento tecnico preventivo e i due consulenti tecnici medici legali nominati dal giudice a tal fine confermano in pieno le censure rilevate dalla ricorrente e da Studio3A, chiarendo che la “prevedibile e prevenibile lesione del nervo femorale è da ricondursi causalmente all’atto di posizionamento del divaricatore automatico utilizzato dai medici nel corso dell’intervento”. I Ctu stabiliscono altresì che “la lesione di natura iatrogena del nervo femorale ha comportato un allungamento della malattia rispetto ai tempi normalmente prevedibili in esito di isterectomia senza compromissione neurologica”, con un danno biologico temporaneo protratto per nove mesi, ma soprattutto, come da essa sia residuata una pesante invalidità permanente del 20%, “trattandosi di lesione dei due terzi del nervo femorale”.
Neanche questo tuttavia basta all’Asl per ammettere le proprie responsabilità e così la paziente è costretta anche a intentare una lunga causa civile: un atteggiamento, quello dell’Azienda sanitariadi voler attendere a tutti i costi la sentenza, che peraltro contrasta anche con le indicazioni della Corte dei Conti,la quale con più sentenze (vedi la n. 2719/13 per la regione Sicilia), a fronte di una Apt positiva, ha invitato le pubbliche amministrazioni a una transazione stragiudiziale, sia per dare risposte immediate ai cittadini sia per evitare i maggiori costi del contenzioso civile tra spese legali e di consulenze tecniche.
Finalmente, nei giorni scorsi, è stata pubblicata la sentenza in cui il giudice lagunare dà ragione su tutta la linea alla 51enne e a Studio3A. La dott.ssa Ivana Morandin ha aderito in toto alle conclusioni dei consulenti tecnici – che peraltro neanche l’Azienda sanitaria ha contestato limitandosi a eccepire sul quantum richiesto – e le ha ritenute “prive di vizi logico-argomentativi, sia per quanto attiene alla configurabilità della responsabilità in capo ai medici, sia sulla quantificazione dei danni in concreto subiti dalla paziente”. Aggiungendo come “le menomazioni derivate dalla lesione comportano alla signora una difficoltà nell’espletamento delle mansioni tipiche dell’attività di casalinga, nonché l’impossibilità di svolgere le attività ludico-ricreative che praticava prima”.
Di più, il giudice, oltre a liquidare il danno non patrimoniale in 14.250 euro a titolo di inabilità temporanea e 60.038 euro di invalidità permanente, ha ritenuto di applicare anche una personalizzazione del 20% in quanto la donna, “in seguito alle lesioni, ha subìto un netto cambiamento umorale in negativo, ha accantonato la passione per il giardinaggio e le passeggiate con il cane, ha dovuto modificare la proprie abitudini di vita abbandonando abiti eleganti e tacchi per indossare solo abiti comodi e scarpe ginniche e, soprattutto, ha dovuto rinunciare alla sua passione maturata da bambina e praticata ogni anno di fare escursioni in montagna con la sua famiglia”. Per una quantificazione complessiva del danno non patrimoniale di 86.295 euro, a cui però vanno sommati anche i danni patrimoniali che le sono stati riconosciuti, in particolare le tante spese mediche sostenute negli anni, per un totale di 118.213,99 euro, a cui andranno ulteriormente aggiunti gli interessi legali e altri 13.938 euro di spese di lite. Non basteranno per restituire alla cinquantunenne di Jesolo la sua vita di prima, ma quanto meno po’ di giustizia l’ha ottenuta.