VENEZIA. La prima testimonianza di un casinò a Venezia risale alla seconda metà del tredicesimo secolo.
Fu più esattamente nel 1282 che i registri delle imposte della Serenissima documentarono per la prima volta la presenza di una casa da gioco sul suolo della Repubblica. I veneziani usavano riferirsi a queste sale da gioco come ridotti, una parola che esprime la chiara idea di circoscrivere il fenomeno dell’azzardo in spazi delimitati o per l’appunto ridotti. Le autorità veneziane, come del resto quasi tutti gli istituti di vigilanza sorti a livello locale e nelle corti europee, cercavano all’epoca di mettere un freno a tutte quelle attività ludiche che si andavano diffondendo in tutti gli strati della società e all’esterno del controllo dei poteri costituiti.
Diversi comuni, impotenti di fronte al proliferare di queste attività, decisero di regolamentare il fenomeno istituendo dei registri nei quali le baratterie (sinonimo medievale degli antichi casinò) si dovevano iscrivere per evitare le tagliole della legge.
Ciò portò importanti introiti grazie alle imposte sul gioco e nel frattempo a fasi alterne, subendo spesso le moralizzazioni della chiesa, questa peculiare industria si sviluppò in tutta la penisola e in particolare a Venezia dove diverse ridotte vennero costituite nell’area del sestiere di San Marco, specialmente nei dintorni della chiesa di San Moisè.
Le nobili famiglie della Repubblica intuirono il business e crearono numerosi ridotti nelle loro proprietà, di solito dei casini sui canali (da qui la derivazione etimologica del termine casinò). Così durante il Carnevale e i numerosi eventi mondani ospitati dalla Repubblica, sempre più ricca di teatri e caffè e frequentata dalla crème de la crème della società europea nel corso dei secoli, le famiglie nobiliari incrementavano i loro affari tra le proteste del clero, che vedeva in questi luoghi dei ritrovi di perdizione e cultura del vizio, e delle classi meno abbienti che reclamavano una regolamentazione del gioco per poter partecipare attivamente a questo florido mercato.
Fu così che le autorità repubblicane decisero nel 1638 di emanare una legge che consentiva il gioco d’azzardo esclusivamente nelle pertinenze del nobile Marco Dandolo e del suo casino nei pressi di San Moisè. Il 1638 corrisponde dunque alla data ufficiale della creazione del celebre casinò di Venezia che grazie a questo editto risulta il più antico del mondo ancora in attività (e anche il primo ad essere gestito direttamente dalle autorità e ad essere aperto al pubblico) sebbene, nonostante il provvedimento, i privati continuarono a giocare nei loro esclusivi ridotti, sorta di occulti speakeasy d’antan.
Questo fatto si deduce ad esempio dai provvedimenti dell’inquisizione nei confronti della nobil dama Caterina Dolfin Tron, poetessa e procuratessa della Repubblica che nel 1772 si vide chiudere le porte del suo casinò dove vennero ritrovati libri proibiti contenenti le idee rivoluzionarie di Rousseau e Voltaire. Proprio in questi casinò si sviluppò parte dell’epopea terrena di Giacomo Casanova che a Venezia divenne una stella dei più popolari ridotti grazie al suo proverbiale charme, alla sua fama di grande amatore e alla sua abilità sul tavolo verde.
Nel frattempo i i fasti dei tempi antichi, favoriti dai ricchi commerci veneziani si affievolirono con il cambio delle rotte commerciali e degli equilibri politici europei che misero Venezia in grave crisi tanto da condurre le autorità cittadine nel diciottesimo secolo a bandire ufficialmente le case da gioco private e ad aprire casinò “nazionalizzati” per raccogliere tutti i proventi derivati dal gioco e rimpinguare le impoverite casse repubblicane.
Quando nel 1797 i francesi occuparono Venezia decretando di fatto la morte della Serenissima, nei territori della Repubblica erano attive ben 136 case da gioco. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, il comune veneziano con l’intento di far rifiorire il turismo nella laguna, dopo la disfatta italiana nel conflitto, decise di puntare sul gioco acquistando il secondo piano di Palazzo Vendramin Calergi sul Canal Grande nel sestiere di Cannareggio. Uno splendido edificio in stile rinascimentale nel quale attualmente sono presenti diversi tavoli da gioco ispirati alla tradizione statunitense e francese dal Chemin de Fer al Carribean Poker. Nel frattempo nel 1999 anche a Ca’ Noghera, nei pressi dell’aeroporto Marco Polo, è sorta un’altra importante piazza da gioco di oltre 5000 metri quadri su terraferma che ha arricchito incredibilmente l’offerta del gambling dal vivo in città.
Per sperimentare il brivido di una serata all’insegna dei giochi da casinò non c’è bisogno di avere una laurea in roulette o di sapere come si gioca a black jack o di immergersi completamente nelle dinamiche numeriche del poker con le sue complesse equity. Ad esempio i meno esperti nelle regole dei giochi più celebri dei casinò potrebbero dedicarsi alle roulette dove la fortuna gioca un ruolo decisamente molto più cruciale rispetto ai classici giochi di carte dove senza dubbio si richiedono maggiori skill ed esperienza maturata sul campo.
Nonostante la crisi dei casinò tradizionali, senz’altro penalizzati dal gioco online e dagli ultimi decreti governativi (vedi il decreto dignità che ha imposto un giro di vite sull’azzardo), i moderni “ridotti” di Venezia, ultima trincea del ‘900 e di un passato ricco e glorioso, resistono facendo registrare numeri positivi in controtendenza rispetto all’andamento degli altri maggiori casinò europei. Del resto il fascino del gioco in laguna resiste grazie anche all’imperitura fama accresciuta da memorabili pellicole di Hollywood come il recente Casino Royale, o i più datati Dalla Russia con amore e Moonraker -Operazione Spazio, tre capitoli dell’infinita saga di James Bond, moderno Casanova che a Venezia tra sale da gioco e vita mondana trova sempre pane per i suoi denti.