PADOVA – Un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università di Padova e dell’Ospedale di Vicenza, finanziato dalla Regione Veneto attraverso il Consorzio per la Ricerca Sanitaria (CORIS), ha evidenziato come l’esposizione prolungata ai PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) possa alterare il metabolismo osseo, modificando i livelli di calcio nel corpo umano. Questo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Chemosphere, ha coinvolto 1.174 adulti provenienti da un’area fortemente contaminata da decenni, un’area in cui le acque potabili sono state compromesse dalla presenza di PFAS.
L’effetto dei PFAS sulla salute ossea
I PFAS, utilizzati in numerosi prodotti industriali e di consumo, sono diventati oggetto di crescente preoccupazione a livello mondiale per i potenziali effetti dannosi sulla salute umana. Uno degli effetti più rilevanti riscontrati nei soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una condizione che provoca una maggiore fragilità delle ossa. Sebbene l’osteoporosi sia tipicamente legata all’invecchiamento, questa condizione può manifestarsi anche in giovane età, specialmente quando si è esposti a queste sostanze chimiche.
Il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio, ha sottolineato che l’esposizione ai PFAS sembra influire direttamente sulla salute ossea, causando una riduzione della densità ossea anche in giovani residenti nell’area rossa del Veneto, già precedentemente studiati. In particolare, l’equipe di Foresta ha osservato una interferenza dei PFAS sul recettore della vitamina D, un ormone fondamentale per la calcificazione delle ossa e per l’assorbimento del calcio.
I risultati dello studio
Nel corso di questo studio, i ricercatori hanno misurato i livelli di PFAS, calcio, vitamina D e paratormone nel sangue di 655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni. I risultati hanno rivelato che i soggetti con concentrazioni più elevate di PFAS presentano anche livelli più alti di calcio nel sangue. Nonostante i livelli di calcio fossero ancora all’interno del range di normalità, questo aumento potrebbe essere indice di una interferenza dei PFAS nell’osso, dove si accumulano in abbondanza.
Meccanismi biologici coinvolti
Secondo il professor Andrea Di Nisio, primo autore dello studio, l’aumento del calcio potrebbe essere dovuto a vari fattori, tra cui un maggiore assorbimento intestinale di calcio, un aumento del paratormone, o un rilascio di calcio dai depositi ossei. Tuttavia, il fatto che i livelli di vitamina D e paratormone non siano stati modificati suggerisce che l’aumento del calcio non sia direttamente legato a questi due fattori, ma piuttosto a un’interferenza dei PFAS con l’attività ossea. Recenti studi hanno infatti dimostrato che i PFAS aumentano l’attività degli osteoclasti, le cellule responsabili del riassorbimento osseo, con conseguente rilascio di calcio e riduzione della densità ossea.
L’urgente bisogno di ulteriori ricerche
Lo studio si inserisce in un contesto di crescente attenzione verso l’impatto ambientale dei PFAS, particolarmente in regioni come il Veneto, dove la contaminazione delle acque potabili è un problema risalente a diversi decenni fa. Questi inquinanti sono ormai presenti in molte aree del territorio nazionale, portando alla luce le gravi implicazioni per la salute pubblica. La crescente incidenza di osteoporosi e altre malattie ossee tra la popolazione esposta ai PFAS richiede ulteriori ricerche per comprendere meglio i meccanismi biologici alla base di queste alterazioni e per sviluppare politiche di prevenzione più efficaci.
Conclusioni
Il professor Carlo Foresta conclude che i risultati dello studio spingono a riflettere su come l’esposizione prolungata ai PFAS, seppur invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine, in particolare sulla salute ossea. È ormai evidente che l’esposizione ai PFAS è associata a un’alterazione diretta dell’osso, con un aumento della liberazione di calcio, anche in assenza di un effetto sulla vitamina D.
Schede di approfondimento
Lo studio:
Lo studio è stato finanziato nel 2021 e ha coinvolto il reclutamento dei pazienti tra fine 2022 e giugno 2023, tutti residenti nei comuni dell’area rossa della provincia di Vicenza. L’ospedale di Vicenza ha effettuato i prelievi, mentre l’ARPAV si è occupata della misurazione dei livelli di PFAS.
Il gruppo di lavoro:
I ricercatori coinvolti sono stati Andrea Di Nisio, Luca De Toni, Cristina Canova, Mirko Berti, Achille Di Falco, e molti altri, provenienti dalle università di Padova e Napoli, nonché dall’Ospedale di Vicenza.